VIRGINIA LOPEZ

14 Aprile / 12 Maggio 2012



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Ephemeros

C’è una stanza segreta dentro Ognuno.
L’accesso è essenzialmente precluso a meno che non ce ne venga offerta la chiave.
Nella stanza creativa di Virginia Lopez c’è un interesse di tipo quasi rinascimentale per l’indagine sulla natura, i luoghi da essa abitati e la sua relazione con l’essere umano o l’animale.
Lo sviluppo di questa indagine è funzionale ad essere tramite verso un’attenta analisi sull’Uomo. 
Virginia ci apre un punto di vista privilegiato su un immaginario privato. La segretezza e l’intimità i cannocchiali per guardarlo. A bassa voce la parola per parlarne.
Nei lavori proposti per lo Studio Lato il percorso si snoda in quadri/ambienti, habitat dello spazio e della mente che possiamo attraversare: arte ambientale, arte che ci accoglie, ingresso a fantasticherie.
Rêverie alla portata di tutti. Basta voler attraversare la porta custode dei ricordi, che tiene intorno a sé la terra (madre), l’acqua (che sostenta) e gli affetti indistruttibili di bambini e madri fermati per sempre da un attimo fotografico che li ha consacrati.
Per lei si va incontro a presenze che percorrono tutta l’esposizione, Fossili nelle acque dormienti, presenze plasmate nella deperibilità della cera, duttile e che si piega ad accogliere in sé l’immagine in un equilibrio che può essere transitorio e precario.
L’attenzione e la curiosità dell’artista sono sterminate e si esplicano in una ricognizione precisa e puntuale di ogni sfera del vivente: si alternano conchiglie, animali, parti del corpo umano, gelosamente racchiusi tra un materiale di supporto e un velo di cera (Polittico della fragilità) oppure isolati in teche e immersi in liquidi da studio scientifico (I giardini del beato). Il soggetto è guardato da una prospettiva privilegiata che ce ne svela i più piccoli particolari e che gli conferisce un risalto che nel suo habitat quotidiano non avrebbe così marcato.
Come in una moderna Camera delle meraviglie Virginia Lopez opera criticamente un’azione selettiva sul reale: sceglie, ritaglia, riproduce fedelmente i suoi Naturalia, fiori, rami, concrezioni, parti anatomiche. Li racchiude nel vetro degli alambicchi per rendercene intatta ogni specificità.
L’osservazione non è mai superficiale.
Altrove ci si presentano figure fantasmatiche ma ancora vive della loro sembianza (Wax light poliptych): rimane un’impronta, traccia dell’essenza e si colloca tra la nostalgia e il ricordo che protegge le immagini.
Siamo invitati a fare maggiore attenzione per capire chi o cosa sia cristallizzato in quel momento, per percepire l’ultimo atto di una presenza vitale, quasi un ricordo.
Virginia procede per rivelazioni del quotidiano: ogni soggetto sembra tornare a nuova vita, il gesto artistico lo richiama potentemente all’adesso che stiamo vivendo.

Fabrizia Bettazzi